lunedì 30 luglio 2018

L' analisi del cariotipo

ANALISI DEL CARIOTIPO L’insieme completo di tutti i cromosomi metafasici di una cellula è definito cariotipo; il cariotipo è specie-specifico e quello umano normale diploide è costituito da 46 cromosomi (22 paia di autosomi e un paio di cromosomi del sesso o eterocromosomi: XX nella femmina, XY nel maschio). La ricostruzione del cariotipo o mappa cromosomica viene effettuata attraverso la costruzione del cariogramma, ottenuto appaiando i cromosomi metafasici omologhi e ordinandoli secondo un sistema di classificazione internazionale. La localizzazione del centromero è una caratteristica costante. In base alla posizione del centromero i cromosomi vengono pertanto così classificati: se il centromero ha una posizione centrale, il cromosoma è definito metacentrico; se è localizzato non esattamente in posizione mediana, il cromosoma è definito submetacentrico; se infine il centromero è localizzato all’estremità del cromosoma, questo è definito acrocentrico; I cromosomi umani esaminati in mitosi sono classificati e ordinati in base alla lunghezza e alla posizione del centromero, in accordo con la classificazione di Denver, proposta nel 1960 al Congresso di Genetica Umana tenutosi in Colorado. I cromosomi sono stati suddivisi in 7 gruppi, in ordine decrescente di lunghezza. L’analisi del cariotipo permette l’identificazione di sindromi legate ad aberrazioni cromosomiche numeriche e strutturali. Permette di evidenziare eventuali anomalie cromosomiche, sia numeriche (quali trisomie, monosomie), che strutturali (traslocazioni, delezioni ed inversioni). Il DNA si presenta durante l’accrescimento cellulare, come un ammasso disorganizzato non analizzabile. Al momento della divisione, esso si condensa in strutture ordinate, i cromosomi, che sono invece analizzabili. Per la determinazione del cariotipo, le cellule vengono bloccate in un momento particolare della divisione: la metafase. In metafase infatti, i cromosomi si presentano come strutture ben definite, facilmente individuabili e riconoscibili al microscopio. Dopo aver bloccato le cellule in metafase i cromosomi vengono colorati con sostanze che si fissano selettivamente a determinate zone cromosomiche, dando luogo ad un caratteristico aspetto a bande: Bandeggio Q, ottenuto mediante l’impiego di un colorante fluorescente, la Quinacrina. Consiste in un’alternanza di regioni intensamente fluorescenti e di regioni buie. Le bande più luminose corrispondono alle zone ricche in Adenina e Timina. Bandeggio G, ottenuto col colorante Giemsa e con tripsina. Il bandeggio G è caratterizzato da un’alternanza di bande chiare e scure. Le bande chiare corrispondono a regioni caratterizzate da attività trascrizionale, replicazione precoce, basso contenuto di DNA ripetuto e sensibilità alla DNasi I. Le bande più scure corrispondono alle zone ricche in Adenina e Timina, relativamente povere di geni, e risultano quindi corrispondenti e sovrapponibili alle bande Q. Il potere di risoluzione di questo tipo di colorazione è alquanto grossolano, infatti una banda citogenetica ha una dimensione media di circa 5 Mb (5 milioni di basi) e può contenere centinaia di geni. Bandeggio R, ottenuto mediante denaturazione al calore e opportuna colorazione: è l’inverso delle bande Q e G e le bande scure corrispondono a zone ricche in Citosina e Guanina. La fase successiva comprende l’osservazione al microscopio: i cromosomi vengono contati, analizzati e fotografati. Dalle fotografie i cromosomi vengono poi appaiati a due a due in base alle dimensioni, alla posizione del centromero e al bandeggio. Si arriva così alla determinazione del cariotipo. Con questo esame è possibile diagnosticare con certezza nel feto la Sindrome di Down o Trisomia 21 che è l’anomalia cromosomica più diffusa (1 su 700). L’incidenza di questa sindrome, aumenta con l’aumentare dell’età materna ed è quindi importante ricorrere alla diagnosi prenatale. Con l’esame del cariotipo fetale è anche possibile diagnosticare la presenza di anomalie dei cromosomi sessuali come la Sindrome di Klinefelter – XXY (1-2 su 1000 neonati maschi) o la Sindrome di Turner – X0 (0,1 su 1000 neonati femmine) e di altre sindromi più rare, ma molto gravi, come la Sindrome di Edwards (trisomia 18) o di Patau (trisomia 13). L’esame strutturale dei cromosomi permette inoltre di rilevare la presenza di anomalie di struttura originate da rotture cromosomiche seguite da riarrangiamenti. Queste anomalie possono portare o meno alla perdita di materiale genetico che può originare diversi quadri patologici. Un esempio è la Sindrome del Cri du chat. Nel 1963 fu descritto per la prima volta un bambino con una delezione di parte del braccio corto del cromosoma 5 (5p-) (Fig. 24). Questa sindrome ha un’incidenza di 1/100.000 nascite. Il fenotipo patologico è determinato dalla perdita dei geni associati alla porzione di cromosoma deleta.

sabato 28 luglio 2018

EMOCROMO

L’emocromo consiste nello studio delle cellule del sangue, tutte prodotte dal midollo osseo attraverso varie fasi di maturazione: i globuli rossi i globuli bianchi e le piastrine. È l’esame del sangue più eseguito. È detto anche esame emocromocitometrico che letteralmente significa misurazione del colore del sangue e del numero delle sue cellule. Esso prevede il conteggio dei globuli bianchi (leucociti), la formula leucocitaria, il conteggio del numero dei globuli rossi (eritrociti), la determinazione quantitativa dell’emoglobina, l’ematocrito (HMT) e il conteggio delle piastrine (trombociti). L’emocromo permette di rivelare direttamente numerose patologie ematologiche ed indirettamente offre importanti informazioni sullo stato generale dell’intero organismo. Il sangue è un tessuto connettivo liquido che circola nei vasi sanguigni. Esso svolge molteplici funzioni fondamentali: rifornisce le cellule e i tessuti di sostanze nutritive, rende possibile la circolazione di ormoni ed enzimi, raccoglie le sostanze di scarto che verranno poi filtrate a livello dei reni per essere eliminate; trasporta l'ossigeno e il biossido di carbonio rispettivamente da e verso i polmoni; è responsabile della risposta immunitaria dell'organismo contro agenti patogeni esterni; mantiene costante il pH e la temperatura dell'organismo. Della notevole complessità di questo tessuto si può avere idea semplicemente strisciando una goccia di sangue su un vetrino e osservando lo striscio al microscopio ottico. È possibile, in questo modo, distinguere facilmente diverse componenti: sospese all'interno della fase liquida (plasma), che costituisce il 55% del sangue intero, sono chiaramente visibili cellule e frammenti cellulari, che costituiscono il restante 45% e che sono chiamati elementi figurati. Gli elementi figurati sono i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine. Le cellule del sangue, nell'adulto, sono prodotte dal midollo osseo, dalle linfoghiandole (in particolare i leucociti) e dalla milza, i principali organi del sistema linfatico che, per la loro funzione, sono detti organi emopoietici. Il midollo osseo è presente nelle ossa di tutto l'organismo in quantità variabile e la parte di esso effettivamente funzionante è il midollo rosso. Il VOLUME del sangue nell’uomo è di circa 5 litri, quando è prelevato dai vasi il sangue coagula rapidamente in una massa rossastra gelatinosa; se la coagulazione è impedita con l’uso di un anticoagulante (eparina, EDTA..) gli elementi cellulari possono essere separati dalla parte liquida mediante centrifugazione. EMOPOIESI: Processo di formazione delle cellule ematiche Il plasma è un liquido giallognolo composto per il 90% di acqua, per il 7% da proteine, per lo 0,1 % da altre sostanze organiche e per lo 0,9% di sostanze inorganiche. Ha un peso specifico inferiore a quello del sangue. La proteina maggiormente rappresentata è l'albumina; numerose sono anche le globuline. Un'altra importante proteina del plasma è il fibrinogeno, la forma inattiva della fibrina, fondamentale per il corretto funzionamento del sistema di coagulazione; insieme al fibrinogeno sono inoltre presenti gli altri fattori della coagulazione, come la protrombina. Inoltre, sono ben rappresentate le proteine del sistema del complemento. Il plasma contiene anche glucidi, principalmente sotto forma di glucosio, nonché lipidi, numerosi ioni (Mg, Na, K, CI, Ca), acido urico, urea, ammoniaca e altri cataboliti. Il plasma privo di fibrinogeno viene definito siero. I globuli rossi o eritrociti o emazie sono le cellule più numerose del sangue, con una concentrazione pari a circa 5 milioni/mm3. Hanno un diametro di circa 8 micrometri e una vita media di 120 giorni. Vengono prodotti nel midollo osseo e, al termine del loro ciclo vitale, sono fagocitati dai macrofagi a livello della milza. I globuli rossi svolgono praticamente un'unica funzione, che è quella di rifornire di ossigeno tutti i tessuti e di ricevere in cambio una parte del biossido di carbonio che essi producono come risultato del processo di respirazione cellulare. Per svolgere al meglio questa funzione, essi contengono un’unica proteina, l'emoglobina, che contiene quattro gruppi eme contenenti ferro ed è capace di legare in modo transitorio quattro molecole di ossigeno. Quando il gruppo eme è legato all'ossigeno, assume una colorazione rossastra, che è quella caratteristica a del sangue. Di fatto non contengono organelli, tranne nelle primissime fasi della loro maturazione, e questo per permettere il trasporto di più emoglobina possibile. Per lo stesso motivo, nei mammiferi queste cellule sono prive di nucleo e la forma di disco biconcavo aumenta il rapporto tra la superficie e il volume citoplasmatico. La loro forma è anche correlata all'estrema flessibilità, di queste cellule, che permette loro di insinuarsi e ripiegarsi in modo da passare attraverso i capillari più sottili e raggiungere quindi tutte le zone dell'organismo per rifornirle di ossigeno. I radicali glucidici che costituiscono alcune glicoproteine degli eritrociti sono i determinanti dei gruppi sanguigni. Il sistema più noto di classificazione è il sistema ABO che viene normalmente accoppiato al sistema Rh (fattore Rhesus). Nell'eritrocita non vi sono mitocondri e la fonte di energia principale, il glucosio, viene utilizzata attraverso la glicolisi e la via degli esoso-fosfati. In alcune condizioni patologiche, l'eritrocita umano subisce cambiamenti morfologici, come, nel caso dell'anemia falciforme, dove si presenta come una foglia avvolta su sé stessa; questo ha come conseguenza una minore capacità degli eritrociti di transitare nei capillari più stretti determinando a questo livello danni ischemici. I valori normali per uomo e donna dei globuli rossi (RBC - Red Blood Cell). Uomo: 4,4-5,6 mln/mm3 Donna: 3,9-4,9 mln/mm3 I globuli rossi sono prodotti nel midollo osseo che rilascia nel sangue i reticolociti, cellule che in 24 h maturano diventando eritrociti maturi. Il loro numero influenza i valori di emoglobina e di ematocrito. Per la maturazione dei globuli rossi sono necessarie numerose sostanze tra le quali il ferro, la vitamina B12 e l’acido folico. La diminuzione dei globuli rossi viene detta anemia mentre il loro aumento è indicato come poliglobulia. Il VOLUME CORPUSCOLARE MEDIO DEI GLOBULI ROSSI (MCV) indica il volume quindi la grandezza dei globuli rossi ed è importante perché serve nella diagnosi delle anemie. Normalmente i globuli rossi vengono detti normocitici, ma possono anche essere più piccoli del normale (anemia microcitica) o più grandi (anemia macrocitica). Negli sport di resistenza l’allenamento aumenta il valore dell’MCV (alcuni atleti keniani arrivano anche a valori di 110). Cause di valori superiori al normale (macrocitosi dell’emazie): anemie da carenza di vitamina B12, policitemia, poliglobulia, disidratazione, diabete, insufficienza renale acuta, peritonite, uso di diuretici, ustioni, alcolismo, vomito. Cause di valori inferiori al normale (microcitosi delle emazie): talassemie, anemie da carenza di ferro, cirrosi epatica, collagenopatie, aplasie midollari, emorragie, infezioni gravi, insufficienza renale cronica, leucemie, tumori maligni. Inoltre potrebbe essere segnalata nel referto la presenza di globuli rossi con alterazioni morfologiche (forme e grandezze fuori dal comune). Di solito queste vengono rilevate quando, sulla base di dati sospetti nell’esame automatizzato, l’analista di laboratorio esegue la lettura al microscopio dello striscio ematico. I reticolociti sono dei globuli rossi immaturi che stanno ancora producendo emoglobina; quando perdono i ribosomi diventano eritrociti maturi. Infatti, queste cellule sono dette reticolociti poiché i ribosomi residui si colorano in blu con il metodo di Giemsa e precipitano sotto forma di reticolo con la colorazione vitale al blu-cresile brillante. Il valore dei reticolociti, soprattutto se rilevato strumentalmente, ci indica l’attività con la quale il midollo osseo produce i globuli rossi. Il loro numero, abbinato al numero dei globuli rossi, ci da precise indicazioni, ad esempio, in caso di emorragia i reticolociti sono numerosi o in caso di sideropenia i reticolociti sono sotto la norma. La loro produzione è stimolata dall’ormone Eritropoietina EPO, che viene usato come doping in ambito sportivo. Questi sono i valori normali dei Reticolociti (Ret) per uomo e donna: 0.8-2,5% degli eritrociti. L’emoglobina (HB) è un tetramero formato da quattro catene globiniche (due catene alfa e due catene beta), che racchiudono ciascuna, in una gabbia di amminoacidi idrofobici, un gruppo eme contenente ferro bivalente. L'emoglobina fetale è formata da molte altre globine, con maggiore affinità per l'ossigeno; in particolare, fino al 3° mese di gestazione è presente la globina epsilon, fino al 6° mese la gamma e la delta. Valori normali: uomo: 13-17 g/100mL donna: 13-15 g/100mL. Se la concentrazione di Emoglobina scende oltre il 20% rispetto ai valori normali per età e sesso si può parlare di anemia. L’anemia ha diverse origini, dalla carenza di ferro (anemia sideropenica) a quella post emorragica. Cause di valori inferiori alla media sono deficit di ferro, deficit di vitamina B12, emorragie, epatopatie, infezioni gravi, insufficienza renale cronica, leucemie, morbo di Cooley, morbo di Crhon, metrorragia, neoplasie maligne, ulcera peptica, aplasia midollare, collagenopatie, morbo di Hodgkin. In alcuni casi possiamo avere un valore di emoglobina sopra la norma come nel caso ad esempio delle policitemie (numero aumentato di globuli rossi) o nelle sindromi talassemiche (presenza di emoglobine atipiche). Altre cause di valori superiori alla norma sono la perdita di liquidi, insufficienza respiratoria, poliglobulia, disidratazione e trasfusioni ripetute. Ricordiamo che l’emoglobina è contenuta nei globuli rossi, per cui la sua concentrazione del sangue è strettamente collegata al numero di queste cellule. Il CONTENUTO EMOGLOBINICO MEDIO (MCH) è la quantità media di emoglobina presente in ciascun globulo rosso. La CONCENTRAZIONE EMOGLOBINICA CORPUSCOLARE MEDIA (MCHC) indica la concentrazione media di emoglobina all’interno di ciascun globulo rosso, in parole semplici se i globuli rossi a seconda della loro grandezza contengono poca o molta emoglobina. Cause di valori superiori al normale: stati emolitici (configurazione sferocitica dei globuli). Cause di valori inferiori al normale: anemie ipocromiche. L’EMATOCRITO (HCT) è la percentuale del volume del sangue che è occupato dai globuli rossi. Il valore dell’ematocrito segue di pari passo quello dei globuli rossi per cui esso diminuisce nelle anemie e aumenta nelle poliglobulie. Cause di valori superiori alla media: poliglobulia, diabete, insufficienza renale acuta, peritonite, policitemia, uso di diuretici, ustioni, vomito, disidratazione. Cause di valori inferiori alla media: anemie, aplasie midollari, carenza di ferro, carenza di vitamina B12, cirrosi epatica, collagenopatie, emorragie, infezioni gravi, insufficienza renale cronica, leucemie, tumori maligni. L’AMPIEZZA DI DISTRIBUZIONE DELLA CURVA DEI VOLUMI DEI GLOBULI ROSSI (RDW) indica l’ampiezza della distribuzione del volume dei globuli rossi attorno al suo valore medio, permettendo di riconoscere i casi di anisocitosi. Se il valore è piccolo (RDW basso) i globuli rossi hanno un volume abbastanza uniforme, se il volume è più alto (RDW elevato) vuol dire che il paziente possiede globuli rossi di dimensioni molto variabili (anisocitosi). In genere questo può succedere nel corso delle anemie o anche in seguito a trasfusioni di sangue. I globuli bianchi, o leucociti, sono cellule del sistema immunitario che sono coinvolte nella difesa dell'organismo dalle malattie infettive e dal materiale estraneo. Queste cellule, a differenza dei globuli rossi e delle piastrine, sono provviste di nucleo e vanno quindi incontro a divisione cellulare. Sono molto meno numerosi rispetto ai globuli rossi. Esistono cinque diversi tipi di leucociti, tutti prodotti da una cellula multipotente del midollo osseo, chiamata cellula staminale ematopoietica. Ognuna di queste varianti ha un ruolo specifico all'interno del sistema immunitario. In base alla presenza o meno di granuli nel citoplasma i leucociti si distinguono in granulociti e agranulociti. I granulociti sono leucociti polimorfonucleati, il che significa che presentano un nucleo costituito da più lobi collegati tra loro da filamenti di eterocromatina. Sono, inoltre, caratterizzati dalla presenza al loro interno di numerosi granuli che contengono enzimi idrolitici. La loro caratteristica principale è la funzione fagocitaria. Esistono tre tipi di granulociti, chiamati neutrofili, eosinofili e basofili, a seconda del tipo di colorazione che li rende visibili al microscopio ottico. Gli agranulociti sono leucociti mononucleati, il che significa che morfologicamente presentano un unico nucleo e non contengono granuli. Includono linfociti, monociti e macrofagi. I neutrofili, oltre a contenere al loro interno numerosi granuli, presentano un nucleo plurilobato, in cui i diversi lobi sono connessi tra loro da sottili filamenti di eterocromatina. La funzione di queste cellule è quella di fagocitare batteri e funghi responsabili di infezioni. Sono presenti in grosse quantità nel pus delle ferite. Dal momento che non sono in grado di rimpiazzare i lisosomi utilizzati in questo processo, muoiono dopo poche fagocitosi. La loro vita media è di 7-10 ore in circolo e di circa 3 giorni nei tessuti. Gli eosinofili sono coinvolti nella risposta immunitaria contro i parassiti e nelle reazioni allergiche. Generalmente il loro nucleo è bilobato numerosi granuli con proprietà tintoriali acidofile (si colorano con coloranti acidi come l'eosina). I granuli contengono idrolasi lisosomali e perossidasi, nonché sostanze proteiche ad elevate potere citotossico nei confronti di batteri e delle cellule in generale. Si aggregano in gran numero in corrispondenza dei complessi antigene-anticorpo. I basofili presentano un nucleo bilobato e a volte trilobato a forma di S e contengono numerosi granuli. I loro granuli contengono istamina, eparina, leucotrieni e vari enzimi, quali perossidasi e fosfatasi acida. La loro funzione è quella di secernere una serie di sostanze anticoagulanti e vasodilatatrici, come l’istamina e la serotonina. In genere la vasodilatazione è locale, ma in casi estremi può essere generalizzata: in questo caso si può avere uno shock anafilattico, che è caratterizzato da un brusco calo della pressione arteriosa, vasodilatazione periferica, edema, insufficienza respiratoria (asma). I linfociti non sono presenti solo nel sangue, ma anche in tutti i tessuti linfoidi. Si distinguono facilmente perché hanno un nucleo molto sviluppato, ricco di eterocromatina, che occupa quasi l’intera cellula. Il citoplasma è molto ridotto e si presenta come un sottilissimo strato intorno al nucleo. I linfociti derivano dalla linea linfoide delle cellule staminali multipotenti presenti nel midollo osseo e, a seconda della sede in cui avviene la maturazione cellulare, si ottengono due linee linfocitarie ben distinte: i linfociti B e i linfociti T. I linfociti T maturano nel timo, mentre i linfociti B e NK (naturai killer) hanno piena maturazione nel midollo osseo. La caratteristica principale dei linfociti è che sono in grado di produrre recettori che vengono poi esposti sulla loro membrana. Ogni recettore è in grado di riconoscere una determinata molecola di forma complementare che è detta antigene. Quando un agente estraneo penetra all'interno dell'organismo, entra in contatto con i recettori specifici che sono presenti sulla membrana dei linfociti. Questo legame ha un effetto profondo sui linfociti, che prima di questo momento si trova in uno stato di quiescenza, e dà il via a una risposta immunitaria diretta contro l'agente che presenta quel particolare antigene. Nel caso dei linfociti B, essi si trasformano in plasmacellule che secernono grandi quantità di anticorpo nel circolo sanguigno (risposta umorale). Quando questi anticorpi entrano in contatto con agenti patogeni che presentano lo stesso antigene contro cui sono diretti, li immobilizzano e richiamano altre cellule che riconoscono questo complesso antigene-anticorpo come un target da distruggere. Nello stesso modo, i linfociti T si attivano e cominciano a riprodursi nel momento in cui il recettore che essi espongono va in contatto con l'antigene corrispondente. In questo caso non liberano anticorpi in circolo, ma usano i recettori che espongono sul lato esterno della loro membrana per riconoscere gli agenti patogeni che presentano il corrispondente antigene. A questo punto distruggono questi agenti patogeni rilasciando perforine, che sono in grado di incidere in più punti la cellula bersaglio, provocandone la lisi. Questo processo prende il nome di risposta immunitaria cellulo-mediata. I linfociti T helper sono necessari per attivare sia i linfociti B che quelli T citotossici. I linfociti soppressori, invece riducono l'intensità della risposta immunitaria. Per le loro caratteristiche, i linfociti sono cellule in continua evoluzione di attività (riposo, attivazione) con conseguente cambiamento di forma, dimensioni e colorazione di nucleo e citoplasma. I monociti rappresentano solo il 5-8% di tutti i leucociti e sono le cellule del sangue con il volume maggiore. Presentano un nucleo reniforme e possiedono un abbondante citoplasma ricco di organelli e di granuli, questi ultimi contenenti fosfatasi, perossidasi e catalasi. Vengono prodotti nel midollo osseo e, una volta raggiunta la maturità, in seguito a stimoli chemiotattici, vengono immessi nel circolo sanguigno e da qui raggiungono i tessuti in cui è presente l'infezione. Durante questo processo vanno incontro a dei cambiamenti strutturali, trasformandosi in macrofagi (o istiociti, C. di Kuppfer, osteoclasti), quindi in grado di fagocitare cellule morte e microbi. Una loro caratteristica fondamentale è la capacità di esporre alle cellule T parti dell'antigene in seguito alla fagocitosi, in modo da stimolare l'attivazione dei linfociti T che posseggono recettori contro quello specifico antigene. Sono, inoltre, in grado di secernere lisozima e interferoni, sostanze coinvolte nella reazione infiammatoria. I valori normali dei globuli bianchi (WBC) sono: 4.000-10.800/mm3 La prima cosa che dobbiamo valutare è il loro numero. Se sono sotto la media si parla di leucopenia, se sono sopra la media di leucocitosi. Valori superiori alla norma possono essere determinati da infiammazioni, infezioni batteriche, virali o parassitarie, leucemie. I globuli bianchi possono anche aumentare in gravidanza o durante le mestruazioni. Una loro diminuzione è invece generalmente relazionabile a un abbassamento delle difese immunitarie. Quando i globuli bianchi raggiungono picchi altissimi (da 30000 a centinaia di migliaia) si hanno le leucemie. La loro presenza in percentuale è definita formula leucocitaria. È molte volte più importante del numero di globuli bianchi in assoluto in quanto permette di fare una diagnosi precisa. Un aumento dei neutrofili può indicare un’infezione batterica in corso. Un aumento spiccato degli eosinofili è spesso correlato ad una sindrome allergica o ad una parassitosi intestinale. Un aumento dei basofili si ha in caso di allergie e i monociti possono aumentare nella mononucleosi infettiva. Inoltre, rivelando quali di queste popolazioni concorre nell’aumento o nella diminuzione del valore assoluto nonché permette di osservare anomalie anche in caso di valori normali di globuli bianchi. LA FORMULA LEUCOCITARIA -neutrofili 40-75% -eosinofili 1-5% -basofili 0-1% -linfociti 20-45% -monociti 3-7% Le piastrine (PLT), chiamate anche trombociti, sono piccoli frammenti cellulari privi di nucleo che derivano dalla frammentazione, o meglio dalla gemmazione, dei megacariociti. Questi ultimi sono cellule vere e proprie che sono prodotte dal midollo osseo. Il numero di piastrine circolanti nel sangue varia tra 150.000 e 400.000 per mm3. Esse hanno una vita media che va dai 5 ai 9 giorni, hanno una forma più o meno sferica e, pur essendo prive di nucleo, contengono numerosi granuli e organelli citoplasmatici. Le piastrine sono coinvolte in una serie di processi finalizzata a bloccare la perdita di sangue in caso di lesione (emostasi), grazie soprattutto alla formazione eli coaguli. Al microscopio ottico sono facilmente distinguibili due parti distinte: una periferica trasparente, detta ialomero, e una centrale più densa, ricca di granuli, detta cromomero. La membrana plasmatica delle piastrine è ricoperta da glicoproteine che ne rendono possibile l'adesione all'endotelio danneggiato specialmente nel caso in cui la lesione faccia in modo che il collagene presente negli strati più profondi dell'endotelio venga a contatto con il sangue. Le piastrine sono attivate da un fattore proteico chiamato fattore di von Willebrand (vWFL). Una volta che lo strato endoteliale è stato danneggiato, il collagene in esso presente entra in contatto con il sangue e nello stesso tempo il fattore vWF si attiva. La combinazione di questi fenomeni permette alle piastrine di aggregarsi con il collagene e tra loro. A questo punto, le piastrine cominciano a secernere i fattori della coagulazione presenti nei loro granuli e in questo modo danno il via ad una vera e propria reazione a cascata. Viene innanzitutto rilasciata la serotonina, che ha la funzione di contrarre il vaso sanguigno danneggiato, espellere il siero in esso presente e rallentare il flusso sanguigno. Viene prodotta anche la tromboplastina, che attiva altri fattori della coagulazione; in questo modo, si innesca una cascata di reazioni che permette di attivare la protrombina a trombina, che a sua volta attiva il fibrinogeno a fibrina, che va a legarsi alle piastrine creando una vera e propria rete che imbriglia altre piastrine, in modo da produrre il coagulo definitivo. Il coagulo di sangue è solo una soluzione temporanea per fermare l'emorragia. Il vaso sanguigno deve essere riparato in maniera stabile e definitiva. Le piastrine aggregate aiutano questo processo grazie alla secrezione di sostanze che richiamano i fibroblasti dal tessuto connettivo circostante nell'area danneggiata, in modo tale da far guarire completamente la ferita. Il coagulo si dissolve lentamente grazie ad enzimi fibrinolitici e le piastrine vengono infine eliminate tramite fagocitosi. In base al loro numero possiamo avere una piastrinopenia (se sono poche) o una piastrinosi (se sono tante). È possibile rilevare anche la presenza di aggregati piastrinici che possono rendere il sangue più viscoso del normale. Se le piastrine sono basse potremmo avere dei problemi di coagulazione e se sono alte c’è il rischio di trombosi. Il loro aumento è considerato fisiologico durante la gravidanza, in seguito all’assunzione prolungata di vitamina B12 e acido folico o allo svolgimento di un’intensa attività sportiva. Inoltre i valori possono alterarsi in caso di forti emorragie, circolazione rallentata del sangue, problemi alla milza, leucemie o lesioni del midollo osseo. Molti farmaci, tra cui la pillola anticoncezionale e l’aspirina, influiscono sui valori. Cause di valori superiori al normale (trombocitosi o piastrinosi): trombocitemia idiopatica, policitemia vera, leucosi mieloide cronica, ecc. Cause di valori inferiori al normale (piastrinopenia o trombocitopenia): trasfusioni di sangue, cura prolungata a base di antibiotici, barbiturici, diuretici, sulfamidici, ipoglicemizzanti. Può inoltre essere il segnale di varie malattie organiche, tra cui: apoplasia midollare, porpora trombocitopenica, porpore secondarie, ustioni estese, leucemie acute, leucemia linfoide cronica, mononucleosi, ecc. Il VOLUME PIASTRINICO MEDIO (MPV) indica il volume medio delle piastrine. INTERPRETAZIONE DEI CITOGRAMMI (i grafici spesso allegati all’emocromo): ANEMIE

venerdì 27 luglio 2018

L'esame delle urine

ESAME DELLE URINE L’esame delle urine permette il rilevamento dei principali caratteri fisici e chimici (quantità, colore, aspetto, densità), le ricerche chimiche qualitative e quantitative (proteine, glucosio, emoglobina, corpi chetonoci, urobilinogeno, pigmenti biliari) e l’esame del sedimento. È l’esame fondamentale della diagnostica nefrologica. Le norme generali per la raccolta delle urine sono: Raccogliere le prime urine del mattino (più concentrate) Usare recipienti sterili per la raccolta del campione Pulizia preventiva genitali esterni. Scartare i primi millilitri di urina Evitare esame urine durante il ciclo mestruale Segnalare gestazione, allattamento Segnalare diete particolari e farmaci L’esame completo comprende: Esame fisico Esame chimico Esame del sedimento L’esame fisico consiste nella valutazione macroscopica del campione. In particolare si valuta il colore che di norma dovrebbe essere giallo paglierino; le variazioni di colore sono indice della presenza di determinate sostanze nelle urine (ad es. un colore rosso può indicare la presenza di sangue o emoglobina, il giallo-verdastro indica la presenza di bilirubina, il nero di metaemoglobina ecc.). L’aspetto deve essere limpido e normalmente l’opalescenza e la torbidità possono essere dovute alla presenza di cellule epiteliali, batteri, cristalli ecc. Anche l’odore laddove particolare può indicare la presenza ad es. di batteri (odore di ammoniaca). L’esame chimico viene tipicamente effettuato immergendo uno stick nelle urine per qualche istante ed osservando la colorazione di ciascun quadratino reattivo. Per una più precisa lettura si preferisce usare un lettore automatico di stick urinari. Prima di inserire lo stick nella provetta contenente l’urina, l’operatore provvede a prelevarne un campione per eseguire l’urinocoltura se richiesta. Permette di valutare: Il glucosio solitamente assente e che è presente nelle urine (glicosuria) quando nel sangue (glicemia) il valore supera i 180mg/dL e è indice di iperglicemia, diabete mellito o insufficiente riassorbimento renale dovuto a disturbi tubulari. La bilirubina che qualora presente potrebbe indicare problemi di carattere epatico, ittero ostruttivo o anemia emolitica. I chetoni sono composti chimici che derivano dalla degradazione degli acidi grassi. Normalmente non presenti nelle urine. Aumentano quando l’organismo non potendo utilizzare gli zuccheri, ricorre all’ossidazione dei grassi per ottenere energia. Si formano o per chetosi diabetica o per qualche altra forma di carenza nutrizionale. Il peso specifico (1000-1030) indica la capacità del rene di concentrare o diluire le urine; dipende dalla quantità di sostanze in esse disciolte e tra queste, il contributo principale è fornito da urea, azoto, cloruro di sodio e vari minerali, oltre a sostanze "anomale" come glucosio e proteine. Quest’ultimo aumenta (urine ipertoniche) in caso di disidratazione, glicosuria o insufficienza renale cronica, diminuisce (urine ipotoniche) in caso di diabete insipido o assunzione di diuretici. Il pH (normale 5.5 – 6.5), variazioni del pH possono dipendere da farmaci, infezioni, alimenti. L’urina concentrata del mattino è generalmente acida, l’urina dei bambini è frequentemente alcalina. I batteri che metabolizzano l’urea in ammoniaca possono anche portare ad un aumento del pH nelle urine. In condizioni patologiche: urine nettamente acide (fino a Ph < 5.0), dovuto a calcolosi delle vie urinarie, acidosi diabetica; urine alcaline, per assunzione di farmaci a base di bicarbonato di sodio o citrato di potassio. Le proteine non sono normalmente presenti. Una proteinuria minima (0,5 g/L) può indicare glomerulonefrite cronica, rene policistico, malattie tubulari, calcolosi renale. Una proteinuria moderata (0.5-4 g/L) può indicare glomerulonefrite acuta, sindrome nefrosica, nefrosclerosi, mieloma multiplo, nefropatia diabetica. Una proteinuria grave (> 4 g /L) può indicare sindrome nefrosica e glomerulonefrite acuta. L’urobilinogeno se presente può essere associato a problemi epatici o ad anemie emolitiche I nitriti sono molecole chimiche prodotte dalla maggior parte dei germi capaci di infettare le vie urinarie. Poiché il corpo umano non ne produce, la positività ai nitriti è sempre indice di infezione batterica. L’esterasi leucocitaria è collegata alla presenza di leucociti, ossia di uno stato infiammatorio, che andrà comunque confermato nella successiva fase microscopica. L’ emoglobina, che può anche provenire da emazie emolizzate. L’ESAME MICROSCOPICO DEL SEDIMENTO si effettua per identificare la presenza di elementi significativi, quali globuli rossi, globuli bianchi, batteri, cellule epiteliali, cristalli, cilindri e muco. Dopo aver valutato l’esame delle urine dal punto di vista chimico-fisico, si procede alla centrifugazione delle urine per concentrare cellule, batteri cristalli ed altre forme. Successivamente alla centrifugazione viene eliminato il surnatante, ossia la parte liquida e recuperato il sedimento. Quest’ultimo viene risospeso, posto su un vetrino e letto al microscopio a piccolo ingrandimento 100 x per conteggio di filamenti di muco, grossi cristalli, cilindri e a forte ingrandimento 400 x per valutazione quantitativa e conteggio di emazie, miceti, leucociti, batteri, cellule epiteliali, che può essere espresso numericamente o attraverso scale nominali. Esistono diversi tipi di vetrini, alcuni costituiti da una semplice lastrina di vetro trasparente, alcuni con camere di lettura che facilitano il conteggio delle forme visualizzate al microscopio. Tra le cellule si possono osservare cellule epiteliali (ossia che costituiscono il rivestimento delle vie urinarie), i leucociti (globuli bianchi), le emazie (globuli rossi). Un campione normale di urine presenta alcune cellule epiteliali e rari leucociti. Le cellule epiteliali possono essere: squamose di origine uretrale o vaginale e la loro presenza è di scarso significato; dell’epitelio di transizione, che originano da pelvi renale, uretere, vescica e uretra; dell’epitelio tubulare renale e la loro presenza suggerisce un danno tubulare dovuto a necrosi tubulare, rigetto di trapianto o pielonefrite. La presenza di leucociti (leucocituria) suggerisce processi infiammatori del tratto urinario o infezioni genitali, ma possono anche trovarsi in condizioni non infettive quali disidratazione, stress, febbre, glomerulonefriti. Presentano un volume maggiore rispetto a quello delle emazie e sono rivestiti da una sola membrana citoplasmatica. Le emazie presentano normalmente forma rotondeggiante, un volume più piccolo dei leucociti, hanno un doppio contorno e aspetto birifrangente. Se presenti (ematuria) in grossa quantità sono indice di infezioni o infiammazioni, traumi, tumori, calcoli renali, danno glomerulare, contaminazione di origine mestruale. Nell’esame di urine completo, la presenza di altre forme cellulare deve essere sempre valutata dal medico. Qualora si sospettino disordini cellulari, il medico curante può richiedere un test approfondito delle urine che prende il nome di esame citologico urinario. Questo, sempre effettuato da un operatore medico o biologo altamente specializzato, grazie a particolari tecniche e colorazioni è in grado di evidenziare forme cellulari (esame morfologico) di natura patologica (esempio tumorali). I cilindri sono elementi caratteristici che nel sedimento appaiono come formazioni piatte, diritte o curve, a bordi rettilinei e paralleli ed estremità irregolari o tronche. I cilindri sono il segno più tipico di una nefropatia. La loro forma non è altro che lo stampo di un tubulo renale nel cui lume si sono accumulati materiali patologici. Formati essenzialmente da proteine e possono avere diversa composizione. In alcuni casi possono contenere delle cellule (esempio cilindri eritrocitari, con inclusioni di emazie), dei batteri o dei grassi e ciò ci da precise informazioni sul contenuto patologico nei tubuli renali. Le urine sono normalmente sterili e l’esame del sedimento permette di valutare anche la presenza di microrganismi come germi, funghi, protozoi o batteri. Un grande numero di batteri e di globuli bianchi è indicativo di infezione del tratto urinario. La presenza di soli batteri, senza leucociti, può indicare una contaminazione del campione. La presenza di microrganismi può essere confermata ed approfondita con appositi esami colturali, come l’urinocoltura. La presenza di Trichomonas vaginalis (protozoo parassita) è facilmente rilevabile in questa fase e non necessita di conferme ulteriori anche se esiste lo specifico test colturale. I reni hanno il compito di filtrare dal sangue numerose sostanze tra cui minerali, metalli e scorie di vario genere. Tali sostanze possono legarsi durante il loro percorso e formare residui e cristalli ben riconoscibili. I cristalli riscontrabili in urine acide sono i cristalli di acido urico, presenti anche nelle urine normali, e i cristalli di ossalato di calcio. I cristalli riscontrabili in urine basiche sono di carbonato di calcio, fosfato di calcio, biurato di ammonio o fosfati amorfi. I cristalli che sono collegati a patologie sono: i cristalli di triplofosfato presenti in infezioni del tratto urinario; i cristalli di cistina presenti in patologie metaboliche congenite; i cristalli di tirosina o leucina patologie degenerative tissutali, incluse le epatiti e le leucemie; cristalli di colesterolo presenti in patologie renali e sindrome nefrosica o in condizioni che portano alla formazione o deposizione di lipidi nel rene; cristalli di bilirubina dovuti a ittero clinico; cristalli di emosiderina dovuti a emolisi severa, anemie emolitiche, reazioni trasfusionali.

giovedì 26 luglio 2018

L' Importanza del volontariato ed i suoi valori.

La mia esperienza da delegato della regione Campania La mia propaganda di circa 3 anni fa Elezioni Delegato Regionale S.C. A tutti i volontari della regione campania Mi chiamo Ciro Aquino, ho 24 anni,sono laureato presso La Federico II nel dip.di Medicina molecolare e biotecnologie mediche e vivo ad Atripalda,un comune delle Verde Irpinia!, svolgo il mio anno di Servizio Civile presso la Pro Loco del mio paese. Ho preso questa decisione perchè ritengo che il Servizio Civile è una piccola grande oppurtunità per rendere migliore nel nostro piccolo ciò che ci circonda,c'è però bisogno di Unione Compatezza e Semplicità Se la sorte e il vostro consenso mi eleggerano il mio impegno sarà Migliorare ed allegerire i Rapporti tra volontari ed enti ospitanti,più flessibilità per i ragazzi,proporre un aumento del rimborso spese per i volontari e inserire un rimborso spese per la figura dell' Olp Poche parole perchè sono sicuro che a voi cosi come anche a me interessino solo i fatti l' Imperativo è difendere gli interessi dei Volontari del Servizio Civile Mi metto a disposizione con i miei mezzi, le mie competenze, ma soprattutto con il mio impegno per migliorare il Servizio Civile Nazionale,renderlo migliore di ora ecco perchè vi chiedo il vostro Voto Sono disponibile per ogni confronto ,dubbio e suggerimento la mia mail coachstudent@gmail.com 14/02/2016 in fede Ciro Aquino

martedì 24 luglio 2018

L'esame del sangue e la sua importanza

Leggere il referto degli esami del sangue L’esame del sangue è la misurazione della quantità di determinate sostanze che si trovano disperse o sciolte nel sangue. Nell’intestazione ci sono i dati personali del paziente. Accanto al nome dell’esame effettuato, sulla stessa riga, puoi leggere il risultato seguito dall’unità di misura utilizzata, a destra tra parentesi sono indicati i valori normali per quel tipo di esame. Se accanto al valore ottenuto dalla misurazione c’è un asterisco significa che il valore normale è stato superato o non raggiunto. In questo modo il medico e anche il paziente può subito capire se c’è qualche problema. Non sempre però se c’è un asterisco vuol dire che si è malati, a volte certi valori possono essere alterati per cause che tocca al medico analizzare. EMOCROMO ELETTROFORESI DELLE PROTEINE SIERICHE ESAMI PER IL FEGATO TRANSAMINASI – Le transaminasi sono enzimi, che si trovano soprattutto nelle cellule del fegato. I loro livelli nel sangue sono utili per valutare il corretto funzionamento del fegato, ma possono anche riflettere lo stato di salute del cuore e dell’apparato scheletrico. Negli esami di routine si misurano: la trasaminasi ALT (o GPT), che riguarda soprattutto il fegato, e la transaminasi AST (o GOT), che riguarda invece il cuore e lo scheletro. L’esame misura la concentrazione di ALT (alanino amino transferasi) nel sangue. L’ALT può essere anche indicata con la sigla GPT (glutammato piruvato transaminasi). In condizioni normali i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di una malattia del fegato, l’enzima viene liberato in circolo e i suoi livelli aumentano anche prima del manifestarsi di sintomi più ovvi di alterazione epatica. L’unità di misura della ALT è U/L, che sta per unità di enzima per litro di sangue. L’esame misura la concentrazione di AST (aspartato amino transferasi) nel sangue. L’AST può essere anche indicata con la sigla GOT (glutammico ossalacetico transaminasi). In condizioni normali AST è presente nel sangue a bassi livelli, ma quando il fegato o il cuore subiscono un danno, esso viene liberato in circolo e i suoi livelli nel sangue aumentano. L’unità di misura della ALT è U/L, che sta per unità di enzima per litro di sangue. FOSFATASI ALCALINA – L’esame consente di misurare la concentrazione della fosfatasi alcalina (AlPh) nel sangue. La AlPh è un enzima presente in diversi tessuti del corpo. In particolare, essa si trova nelle ossa e nelle cellule del fegato che formano i dotti biliari. Sebbene in concentrazioni inferiori, la AlPh è presente anche nelle cellule intestinali e nella placenta. La AlPh è presente anche nel sangue, ma a livelli bassi; in caso di malattie del fegato o delle ossa essa può aumentare. I valori della AlPh nel sangue variano a seconda dell’età. In particolare, nei bambini piccoli e negli adolescenti, essa aumenta per effetto della crescita delle ossa. GAMMA-GT (GGT) – L’esame misura la concentrazione di GGT, o gamma glutamil transpeptidasi, nel sangue. GGT è un enzima che si trova soprattutto nel fegato e che di norma è presente nel sangue a livelli molto bassi. In presenza di un danno epatico, però, la quota di GGT nel sangue aumenta. In particolare, GGT è considerato l’enzima epatico più sensibile per rilevare problemi a carico dei dotti biliari. BILIRUBINA TOTALE, DIRETTA E INDIRETTA – L’esame misura la concentrazione di bilirubina nel sangue. La bilirubina è una sostanza che deriva prevalentemente dalla demolizione dell’emoglobina, la proteina che lega l’ossigeno nei globuli rossi. Ogni 120 giorni i globuli rossi vengono rinnovati e l’emoglobina viene degradata, dando origine alla bilirubina; per essere eliminata, la bilirubina dev’essere trasformata da alcune reazioni che hanno luogo nel fegato. Ma se il fegato si ammala o se vengono distrutti globuli rossi in eccesso, la bilirubina nel sangue aumenta e ciò causa ittero, una condizione caratterizzata dal tipico colorito giallastro della pelle e del bianco degli occhi. Della bilirubina totale presente nel sangue si possono distinguere due frazioni: la bilirubina indiretta (non ancora trasformata dal fegato), che rappresenta la frazione più cospicua, e quella diretta (già trasformata dal fegato). La bilirubina diretta viene poi riversata nell’intestino dove la flora batterica ne favorisce la degradazione, convertendola in composti che vengono eliminati con le feci. Un eccesso di bilirubina indiretta può essere dovuto a: un’aumentata distruzione dei globuli rossi (emolisi), che si verifica nell’anemia emolitica, o altri difetti della produzione dell’emoglobina (talassemia, anemia perniciosa e falciforme); alcune malattie ereditarie che alterano la capacità del fegato di convertire la bilirubina indiretta in quella diretta; ittero fisiologico dei neonati e dei prematuri e reazione di incompatibilità tra Rh materno e quello del neonato; effetto collaterale di alcuni farmaci come steroidi e rifampicina. Un aumento della bilirubina diretta può dipendere da: alcune malattie ereditarie; malattie del fegato come cirrosi, epatiti virali ed epatite tossica; ostruzioni delle vie biliari dovute per esempio a calcoli o tumori del fegato o del pancreas; effetto collaterale di alcuni tipi di farmaci. Una diminuzione dei livelli di bilirubina totale, indiretta e diretta può invece essere causata da: alcuni tipi di anemie; assunzione di certi sedativi. ESAMI PER LA FUNZIONALITA’ RENALE CREATININEMIA – L’esame misura la concentrazione della creatinina nel sangue. La creatinina è un prodotto di scarto che deriva dal muscolo e viene riversato nel sangue. Essa viene filtrata dai reni ed è poi eliminata dal corpo attraverso le urine. Se i suoi livelli nel sangue aumentano, significa che i reni non riescono a farla passare nelle urine e quindi non svolgono bene il loro lavoro. Oltre a misurare la creatinina sierica, cioè quella presente nel sangue, è possibile determinare anche quella contenuta nelle urine. Il test della creatinina urinaria viene effettuato su un campione di urine raccolte nelle 24 ore. AZOTEMIA (UREA) – L’esame misura la concentrazione di azoto non proteico nel sangue, cioè la concentrazione di urea nel sangue. L’urea è un composto di scarto che deriva dalla degradazione delle proteine. Essa è prodotta dal fegato e rilasciata nel sangue, per poi essere filtrata dai reni ed eliminata con le urine. L’azotemia indica con precisione la funzionalità dei reni. Valori diversi da quelli di riferimento segnalano un’imperfetta depurazione del sangue da parte dei reni. I valori di riferimento hanno una variabilità che dipende dall’età e dal sesso. Nei bambini molto piccoli i valori sono circa il 60 per cento di quelli degli adulti; negli anziani (dopo i 60 anni) aumentano lievemente. Nelle donne si osservano in genere valori un poco più bassi rispetto agli uomini. Talvolta il medico valuta il rapporto tra azotemia e creatinina presente nel sangue, per capire meglio le cause di un aumento dei due parametri. Il rapporto è di norma compreso tra 10:1 e 20:1. Un rapporto più basso potrebbe essere dovuto a un ridotto flusso di sangue ai reni, a emorragie gastrointestinali o a diete iperproteiche. Invece, una riduzione del rapporto può essere causata da una malattia del fegato o da malnutrizione. ESAMI PER CUORE E METABOLISMO GLICEMIA (ZUCCHERO NEL SANGUE) – La glicemia a digiuno serve a misurare quanto glucosio è presente nel sangue. Indirizza, ma non basta, alla diagnosi di diabete. Il test misura la concentrazione di glucosio nel sangue. I suoi livelli nel sangue dipendono dall’equilibrio tra la quantità di zucchero introdotta con la dieta o derivante dalle riserve corporee, e la quantità che viene utilizzata dai vari tessuti. Questo equilibrio è regolato da due ormoni: l’insulina e il glucagone. Un’alterazione della regolazione può provocare condizioni di ipoglicemia (bassi livelli di glucosio nel sangue) o di iperglicemia (alti livelli di glucosio nel sangue), che possono essere anche fatali. Per esempio, nel diabete, uno stato di iperglicemia cronica può portare a un danno progressivo di organi come reni, occhi, nervi, cuore e vasi. L’ipoglicemia, invece, ha effetti gravi soprattutto sul sistema nervoso. Elevati livelli di glucosio nel sangue sono di solito dovuti al diabete, ma possono essere causati anche da altre condizioni, quali: avvelenamento da monossido di carbonio (CO), obesità, tumori cerebrali, ictus cerebrale, infarto cardiaco, insufficienza renale cronica, ipertiroidismo, neoplasia del pancreas, pancreatite, sindrome di Cushing, stress, acromegalia, uso di alcuni farmaci. Valori inferiori a quelli ritenuti normali possono essere determinati da: eccessiva assunzione di alcol, cirrosi epatica, malattie epatiche croniche, digiuno o malnutrizione, ipotiroidismo, tumori del pancreas, tumori dell’ipofisi, sarcomi, uso di alcuni farmaci (betabloccanti, steroidi anabolizzanti), eccesso di insulina. Oltre che a digiuno, la misurazione del glucosio può essere effettuata anche vicino ai pasti. Per esempio, il cosiddetto test da carico di glucosio consiste in una serie di misurazioni del glucosio effettuate a tempi diversi dall’assunzione di una quantità standard di glucosio. Esiste anche il test del glucosio urinario, che misura la concentrazione di glucosio nelle urine e che rientra nelle analisi delle urine eseguite di routine. In genere ciò che causa aumenti della glicemia produce anche un incremento del glucosio nelle urine. PROTEINA C REATTIVA (PCR) – Il test misura la concentrazione della proteina C reattiva (CRP) nel sangue. La CRP è una sostanza prodotta dal fegato e poi rilasciata nel circolo sanguigno. In condizioni normali i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di un’infezione o di uno stato infiammatorio possono aumentare anche di migliaia di volte nel giro di poche ore. In questi casi, la crescita della CRP è molto rapida e precede il manifestarsi di sintomi classici dell’infiammazione, come la febbre o il dolore. Il ritorno di CRP a valori normali è altrettanto rapido: non appena l’infiammazione scompare anche la proteina cala. Il test della CRP viene utilizzato per accertare la presenza di uno stato infiammatorio, ma non è specifico per la diagnosi di nessuna malattia. In laboratorio viene eseguito il dosaggio, cioè la misurazione della concentrazione della proteina nel campione di sangue prelevato. Nelle persone sane il valore medio della CRP dipende dall’età e dal sesso del paziente. Esiste anche un altro esame che misura la CRP: esso è definito test per la CRP ad alta sensibilit, in grado di rilevare variazioni di piccole quantità della proteina. COLESTEROLO – L ’esame misura la concentrazione di colesterolo nel sangue: con tre misurazioni diverse si ottengono i livelli di colesterolo totale, HDL e LDL. Il colesterolo è un tipo di grasso in parte prodotto dall’organismo e in parte introdotto con la dieta. Una piccola parte di colesterolo è presente nel sangue dove è legato a speciali proteine chiamate lipoproteine. Le HDL (lipoproteine ad alta densità), trasportano il colesterolo in eccesso dai tessuti al fegato, dove viene eliminato; le LDL (lipoproteine a bassa densità), lo trasportano invece in periferia, favorendo il suo deposito nei tessuti. Questo test viene usato per valutare il rischio di sviluppare una malattia, nello specifico la malattia cardiaca. Visto che livelli elevati di colesterolo LDL si associano a indurimento delle arterie, malattie cardiovascolari e rischio di morte per attacco cardiaco, il suo controllo fa parte di una pratica preventiva di routine. Negli adulti al di sopra dei 20 anni la misurazione del colesterolo dovrebbe essere effettuata almeno una volta ogni cinque anni; la frequenza dei controlli aumenta, nei pazienti che seguono una dieta specifica o che assumono farmaci per abbassare il colesterolo. Il colesterolo può aumentare sia per una predisposizione ereditaria, sia per una dieta ricca di cibi ad alto contenuto di grassi. Oltre ai livelli elevati di colesterolo totale e LDL e ai bassi livelli di HDL, esistono altri fattori di rischio cardiovascolare. I principali sono: fumo, età (> 45 anni per i maschi, 55 anni per le femmine), ipertensione (> 140/90 mmHg), una storia familiare di malattie coronariche. TRIGLICERIDI – Questo esame misura la concentrazione dei trigliceridi nel sangue. I trigliceridi sono la forma di immagazzinamento dei grassi nell’organismo e sono utilizzati come scorta di energia. Essi derivano soprattutto dalla dieta e in piccola parte sono prodotti dall’organismo (fegato); una volta introdotti o sintetizzati, i trigliceridi vengono accumulati nel tessuto adiposo (tessuto grasso), oppure sono usati dal muscolo come fonte di energia. Una quota di trigliceridi è presente anche nel sangue, sotto forma di palline di grasso e proteine, chiamate chilomicroni e VLDL. La determinazione dei trigliceridi nel sangue rientra nel cosiddetto profilo lipidico, un insieme di esami che comprende anche la misurazione del colesterolo totale, HDL e LDL e che serve a determinare il rischio cardiovascolare. I trigliceridi possono aumentare sia per predisposizione ereditaria sia per diete ricche di grassi. Quando i valori sono molto alti, c’è il rischio di sviluppare una pancreatite, cioè un’infiammazione del pancreas. CALCIO (CALCEMIA O CALCIO SIERICO) - Il test misura la calcemia, cioè la concentrazione di calcio nel sangue. Il calcio è uno dei più importanti minerali dell’organismo e si trova per il 99 per cento nelle ossa. Quasi tutto il calcio rimanente circola nel sangue, dove può essere presente in forma libera o legato a speciali proteine, dette proteine plasmatiche. Quando il medico prescrive il test della calcemia, in genere richiede la misurazione del calcio totale, cioè sia la forma libera sia quella legata. In genere livelli di calcitonina molto alti sono un buon indicatore di iperplasia benigna o di carcinoma midollare della tiroide; per confermare la diagnosi, però, sono necessari altri esami, come la biopsia tiroidea, l’ecografia o la Tac. È possibile effettuare una misurazione del calcio anche nelle urine. Questo esame indica quanto calcio viene eliminato dai reni e viene prescritto quando la calcemia è anomala oppure in caso di sospetti calcoli renali. Per avere un quadro più completo, il medico può confrontare i risultati del test della calcemia con quelli di altri esami del sangue: il paratormone e la vitamina D, sostanze coinvolte nel mantenimento dell’equilibrio del calcio, l’albumina, la principale proteina plasmatica che lega il calcio, il fosforo e il magnesio. ESAMI PER IL FERRO SIDEREMIA O FERRO SIERICO – Il test misura la sideremia, cioè la concentrazione di ferro nel sangue. Il ferro è un elemento molto importante per l’organismo, perché è indispensabile per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti e per la formazione di alcuni enzimi. In un individuo adulto sano sono presenti circa 3-5 g di ferro totale: di questo, una parte si trova nei globuli rossi (ferro legato all’emoglobina), una parte costituisce le riserve dell’organismo (ferro legato a ferritina ed emosiderina) e una parte rappresenta il cosiddetto «ferro di trasporto» (ferro legato alla transferrina), che, attraverso il sangue, è veicolato dal fegato e dall’intestino ai tessuti che ne hanno bisogno. Essendo la quota di ferro libero nel sangue trascurabile, la sideremia di fatto misura il ferro legato alla transferrina. Se i valori di emoglobina ed ematocrito sono anomali, il test può essere utile per determinare le cause di un’eventuale anemia. TRANSFERRINA (CAPACITA’ FERRO LEGANTE) – Il test misura la capacità totale del corpo di trasportare il ferro; di fatto, siccome il trasporto del ferro nel sangue è effettuato da una sola proteina, la transferrina, questa misura può essere anche espressa come concentrazione della transferrina nel sangue. La transferrina è una proteina che trasporta il ferro dall’intestino e dal fegato ai tessuti che ne hanno bisogno. Nel sangue, la transferrina può trovarsi sia in forma libera, non legata al ferro (transferrina insatura), sia in forma legata al ferro (transferrina satura). La quota di transferrina legata coincide con il valore della sideremia. In un individuo adulto normale circa un terzo della transferrina sierica misurata viene utilizzata per trasportare ferro. Per calcolare rapidamente la capacità ferro-legante totale conoscendo la concentrazione della transferrina sierica, si può usare la seguente formula: capacità ferro-legante totale (microgrammi/dl) = transferrina (mg/dl) * 1,25. Una bassa capacità ferro-legante totale può indicare: una malattia genetica chiamata emocromatosi, anemie causate da infezioni o malattie croniche, malnutrizione, ecc. Una capacità ferro-legante totale elevata indica generalmente una carenza di ferro. FERRITINA SIERICA - Il test misura la concentrazione della ferritina nel sangue. La ferritina è una proteina che lega il ferro e, insieme all’emosiderina, rappresenta la principale riserva di questo elemento nell’organismo. Oltre alla ferritina sierica, cioè quella presente nel sangue, ci sono anche le ferritine tissutali, che si trovano nel fegato, nella milza e nel midollo osseo. La concentrazione della ferritina nel sangue è in rapporto ai depositi di ferro presenti nei vari tessuti ed è quindi un ottimo indicatore della quantità di ferro a disposizione di tutto il corpo. L’esame serve a determinare quanto ferro di riserva è a disposizione dell’organismo. In caso di malattie che causano danni agli organi che contengono le ferritine tissutali (fegato, milza, midollo osseo), i livelli di ferritina nel sangue possono aumentare anche se le riserve totali di ferro nel corpo sono normali. Per questo, da soli, i livelli di ferritina non sono molto informativi nelle persone affette da infezioni croniche, tumori e malattie autoimmunitarie. ANTIGENE PROSTATICO PSA TOT E FREE – Di norma richiesto insieme al PSA totale, il free PSA (o PSA libero o fPSA) rappresenta una parte dell’antigene prostatico specifico circolante, in particolare la frazione che non risulta essere legata a proteine di trasposto. L’utilità di questo test nasce dall’osservazione per cui in condizioni benigne, come l’ipertrofia prostatica, aumenta prevalentemente la quota libera, mentre il cancro alla prostata produce soprattutto un aumento del PSA legato. Per interpretare correttamente questo esame si procede in genere a calcolare il rapporto tra frazione libera e totale (ratio) e questo è il valore che viene valutato. ESAMI DELLA FUNZIONALITA’ TIROIDEA TSH (ORMONE TIREOTROPO) – L’esame del TSH in molti casi è l’esame di elezione per valutare la funzionalità tiroidea e/o i sintomi dell’ipertiroidismo o dell’ipotiroidismo. Spesso viene prescritto prima dell’esame del T4 o contestualmente a quest’ultimo. Tra gli altri esami della tiroide prescritti dal medico ricordiamo l’esame del T3 e quello degli anticorpi antitiroidei (se si sospetta che il paziente soffra di patologie autoimmuni connesse alla tiroide). Un valore troppo elevato spesso indica che la tiroide è poco attiva (ipotiroidismo) e non sta reagendo nel modo giusto alla stimolazione del TSH, perché c’è qualche disfunzione acuta o cronica. In rari casi il valore alto può indicare un problema dell’ipofisi, ad esempio un tumore che crea squilibri nella produzione. Infine può anche indicare che il paziente a cui è stato diagnosticato un disturbo della tiroide o che ha subito l’asportazione della ghiandola riceve una quantità insufficiente di ormone tiroideo di sintesi. Un valore del TSH troppo basso può indicare che il paziente soffre di ipertiroidismo (cioè ha la tiroide troppo attiva) oppure che sta ricevendo una quantità eccessiva di ormoni tiroidei di sintesi, se è in terapia per l’ipotiroidismo o gli è stata asportata chirurgicamente la tiroide. In rari casi un valore basso può indicare che l’ipofisi ha un problema che le impedisce di produrre una quantità adeguata di ormone. È bene sottolineare che un valore non normale indica solo che c’è un eccesso o una carenza di ormoni tiroidei nell’organismo, ma non stabilisce quale sia la causa. Un risultato non normale dell’esame del TSH di solito prelude ad altri esami di approfondimento.

domenica 22 luglio 2018

Nutrizione

La piramide alimentare Gli Americani, più attenti degli Europei alla semplicità e all’efficacia del messaggio, hanno adottato, oltre all’enunciazione di regole scritte, anche il simbolo della piramide che già rende, visivamente, il concetto della diversa frequenza ed entità dei consumi fra gli alimenti posti alla base della piramide, rispetto a quelli dei ripiani superiori. La trasposizione della piramide americana in Italia, senza gli opportuni adattamenti alla nostra realtà e ad una storia gastronomica di grande tradizione, ha dato luogo a molte contestazioni. Migliore accoglienza hanno avuto le Linee Guida per una sana alimentazione italiana, elaborate dagli esperti dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN), che verranno sinteticamente commentate in queste pagine. In effetti, la piramide alimentare americana e le troppe varianti che ne sono derivate, senza un preciso riferimento alle porzioni e alla frequenza dei consumi
, potevano far supporre che soltanto gli alimenti situati alla base fossero davvero essenziali; il che non è vero perché tutti gli alimenti possono e debbono fornire il loro contributo al totale e alla varietà della dieta, sia pure entro limiti quantitativi molto diversi. Per maggior chiarezza espositiva, diciamo che nella miscela usata da alcuni motori deve esserci dell’olio, magari soltanto il 2%, ma questo non significa che l’olio non sia indispensabile! Ecco qui ben 10 pratici consigli a cui ispirarsi

sabato 14 luglio 2018

il contatto fisico

IL CONTATTO FISICO un abbraccio, una carezza, un massaggio o semplicemente una stretta di mano. Il contatto fisico provoca, delle risposte biologiche ed emotive che portano a notevoli e importanti benefici per la salute. Quando veniamo accarezzati, abbracciati o entriamo in contatto fisico con altre persone, le terminazioni nervose della pelle inviano dei messaggi al cervello, nella stessa maniera in cui percepiamo ad esempio il calore e il dolore. Questi messaggi attivano una risposta biologica ed emotiva nel nostro organismo. Il fatto che un abbraccio, un bacio, una stretta di mano o un massaggio possa migliorarci emotivamente è risaputo, ma quasi nessuno ne immagina i benefici anche sul piano fisico. I benefici del contatto fisico – Combatte depressione, ansia e stress. Un contatto fisico piacevole attiva la produzione di serotonina (l’ormone del buon umore), dopamina (l’ormone del piacere) e ossitocina (l’ormone dell’amore), ormoni fondamentali per la salute psichica. Tali ormoni riducono l’ansia, combattono la depressione, aumentano il senso di sicurezza, stimolano una sensazione di maggiore calma e di pace, promuovono un senso generale di benessere e riducono la produzione del cortisolo, il principale ormone correlato allo stress. Non a caso quando siamo dispiaciuti o tesi, basta un semplice abbraccio per scaricare tutta la tensione che c’è in noi, per poi stare molto più calmi, rilassati e rigenerati psicologicamente. – Stimola il desiderio sessuale. In particolare, l’ossitocina (ormone prodotto a causa del contatto fisico) è chiamata anche “ormone dell’amore” in quanto stimola il desiderio sessuale, l’affettività e l’empatia. – Fornisce energia. Un semplice abbraccio stimola la produzione di emoglobina, la quale trasporta l’ossigeno ai tessuti, fornendo energia all’ organismo. – Rafforza l’autostima. Quando entriamo in contatto fisico con una persona che ci abbraccia, ci stringe la mano o ci bacia, si rafforza la nostra autostima, accettiamo meglio noi stessi e ci sentiamo meglio accettati dagli altri. – Migliora la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca. Come sopra descritto, un contatto fisico piacevole e prolungato, come un lungo abbraccio, o un “mano nella mano”, riduce gli effetti fisici dannosi dello stress, grazie agli “ormoni della felicità” che l’organismo sprigiona. Lo stress ha un impatto negativo sulla pressione sanguigna e sulla frequenza cardiaca. “Ci sono momenti in cui un semplice abbraccio è tutto ciò di cui hai bisogno per ricaricarti e vivere”.

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